Desmond Doss: l’obiettore che combatté in Giappone senza Armi – Vanilla Magazine

2022-04-21 08:08:04 By : Ms. Joyce Lin

Alle prime luci dell’alba del 5 maggio del 1945, la 77ª divisione del 307° reggimento di fanteria dell’esercito americano iniziò la scalata della scarpata di Maeda. Per superare i suoi 120 metri d’altezza, i soldati avevano predisposto delle corde da carico a mo’ di rete e il loro obiettivo era quello di continuare l’avanzata sull’isola di Okinawa. I giapponesi, però, non volevano cedere nemmeno un centimetro del loro territorio e diedero vita a una feroce controffensiva. Nel giro di pochi istanti il cielo si illuminò con una pioggia di artiglieria pesante.

Sul campo di battaglia comparvero mitragliatrici, lanciafiamme e granate. Mentre sangue, urla e disperazione scortavano la ritirata dei marines, un giovane ventiseienne della Virginia, tale Desmond Doss, ignorò gli ordini dei superiori e si precipitò verso le linee nemiche. Con sé non aveva né un fucile né una pistola, ma nei suoi occhi c’era un totale sprezzo del pericolo. Stava rischiando la vita per salvare i suoi compagni e non gli importava che attorno a lui ci fosse una guerra. Trovò dei feriti, li medicò, se li caricò in spalla e li calò giù dalla scarpata.

Le sue prodezze, però, non si limitarono solo a quel 5 maggio, ma continuarono anche nelle settimane successive. A fine guerra dichiarò di aver soccorso circa 50 commilitoni. Per i membri del reggimento, invece, erano almeno 100. Quando lo Stato Maggiore lo premiò con la Medal of Honor si giunse a un compromesso di 75 uomini sottratti alla morte. Fin qui nulla d’eccezionale: parliamo di un soldato che combatte con orgoglio e si distingue per valore. Eppure, c’era un motivo se Desmond non aveva armi. Era un obiettore di coscienza e, senza sparare un colpo, aveva vinto la Seconda guerra mondiale.

Ancora oggi negli Stati Uniti lo ricordano come un eroe e, in tempi recenti, il suo nome è tornato alla ribalta grazie al film La battaglia di Hacksaw Ridge.

Dopo questa breve premessa, torniamo indietro nel tempo e scopriamone la vita.

Desmond Thomas Doss nacque a Lynchburg, in Virginia, il 7 febbraio del 1919, da William Doss e Bertha Edward Oliver. La sua non fu un’infanzia felice. Il padre era un veterano della Grande Guerra, che, come tanti altri uomini sparsi per il globo, soffriva di un disturbo da stress post traumatico causato dall’esperienza al fronte. Lavorava come carpentiere, ma era alcolizzato e propenso a scatti di ira immotivati nei confronti della moglie.

Leggenda narra che la non-violenza di Desmond nacque in occasione di due episodi giovanili: quando rischiò di uccidere suo fratello in una lite e quando vide il padre che puntava un fucile contro la madre. Nonostante le tante difficoltà, Bertha crebbe il figlio secondo i dogmi della Chiesa cristiana avventista del settimo giorno, la cui dottrina prevedeva il ripudio delle armi e l’osservanza del sabato come giorno sacro. Desmond frequentò la scuola fino agli otto anni, poi trovò lavoro presso la Lynchburg Lumber Company per contribuire al sostegno economico della famiglia.

Dopo l’attacco di Pearl Harbor, del 7 dicembre del 1941, e la conseguente entrata in guerra degli Stati Uniti, anche il ventitreenne Desmond sentì il richiamo della patria e si arruolò come volontario il 1° aprile del 1942.

Ma come poteva andare al fronte un pacifista come lui, che, sia per motivi personali, sia per motivi religiosi, rifiutava l’utilizzo delle armi e il ricorso alla violenza?

Nel 1940, il Congresso aveva emanato una legge che tutelava gli obiettori di coscienza e impediva all’esercito americano di scartarli; quindi, in teoria, poteva offrire il suo contributo. Nei fatti, l’addestramento a Fort Jackson, nella Carolina del Sud, non fu per niente facile, perché nessuno voleva al suo fianco un soldato incapace di proteggere sé stesso e gli altri. Per mesi subì angherie, insulti e vessazioni da parte dei suoi commilitoni. Lo prendevano in giro, lo additavano come un codardo e la sera, quando pregava prima di andare a letto, gli lanciavano scarpe e altri oggetti. I superiori non erano da meno. Lo consideravano una responsabilità troppo grande, un peso, e, pur di convincerlo a tornare a casa lo rimproveravano in continuazione o gli assegnavano lavori extra per rendergli la vita impossibile.

In quel periodo, il suo principale detrattore fu un certo capitan Cunnigham. Un giorno gli ordinò di prendere in mano una pistola e, dopo lo scontatissimo rifiuto del ragazzo, minacciò di deferirlo per insubordinazione. In seguito, cercò di farlo congedare come malato mentale, gli negò qualsiasi permesso e per molto tempo Desmond non poté tornare a casa per far visita alla famiglia. In poche parole, anche se godeva dello status di obiettore di coscienza, la sua permanenza a Fort Jackson fu un vero un inferno.

Ma Desmond non ne voleva sapere di abbandonare la divisa e, fra alti e bassi, completò l’addestramento

Il 17 agosto del 1942 sposò Dorothy Pauline Schuttle, poi partì per il fronte in qualità di soccorritore militare.

Aveva con sé bende, medicinali e la sua grande forza di volontà.

Nel 1944 prestò servizio nelle battaglie di Guam e del Golfo di Leyte, nelle Filippine, dove si guadagnò la sua prima onorificenza, la Bronze Star Medal. Mentre i compagni sparavano e soffrivano, se gli serviva una borraccia, una medicazione, un sostegno per battere in ritirata, lui era lì al loro fianco.

Nessuno doveva chiamarlo, Desmond accorreva sempre di sua iniziativa, anche se equivaleva a esporsi al fuoco nemico. Ma il fuoco lui ce l’aveva negli occhi. Avanzava senza alcun timore, perché era importante aiutare chi, come lui, anche se in maniera diversa, stava servendo la madre patria.

E spesso chi lo vedeva arrivare nel momento del bisogno era qualcuno che ai tempi di Fort Jackson lo aveva emarginato o maltrattato, ma la parola rancore nel suo vocabolario non esisteva. Ce n’era una molto più importante: altruismo.

Così, con una fama di tutto rispetto guadagnata nonostante l’assenza di qualsiasi arma nel suo equipaggiamento, l’obiettore di coscienza Desmond Doss andò in Giappone, dove il suo nome divenne leggenda.

Dal 29 aprile al 21 maggio del 1945 prese parte a una parentesi della ben più ampia battaglia di Okinawa, e il suo reggimento giunse al cospetto della scarpata di Maeda, anche nota come l’Hacksaw Ridge. Desmond fu tra i primi a recarsi sulla cima per fissare un sistema di corde da carico che ne avrebbe permesso la scalata. Sul fronte opposto i giapponesi erano agguerriti e tentarono di respingere gli invasori con una violenza inaudita. Dopo solo poche ore, gli ufficiali ordinarono la ritirata, ma, mentre tutti indietreggiavano, Desmond avanzò disarmato e andò in cerca dei commilitoni feriti. Se li caricò in spalla uno ad uno, studiò un sistema di corde improvvisato e li calò giù dalla scarpata con una lettiga di fortuna, affinché ricevessero le cure necessarie per sopravvivere. Era il 5 maggio del 1945 e Desmond era solo all’inizio.

In quei momenti di sconforto, dove dal cielo piovevano bombe, in aria viaggiavano proiettili e la terra si alzava fino a sporcare i volti di tutti quei giovani chiamati a morire per le rispettive patrie, Desmond moltiplicò i suoi sforzi. Secondo le varie testimonianze, dopo un pesantissimo sbarramento dell’artiglieria, disubbidì all’ordine di ripiegare e si spinse fino a 200 metri dalle linee nemiche solo per salvare un compagno.

Senza una pistola per difendersi la dea bendata doveva essere dalla sua parte. Si narra che un giorno si ritrovò dinanzi a un soldato nipponico, questi provò a sparargli per ben tre volte, ma, per ben tre volte, gli si inceppò il fucile. Desmond non aveva nemici e si distinse per un altruismo che abbracciava anche chi, in teoria, avrebbe dovuto uccidere. In più di un’occasione, infatti, bendò personalmente alcuni membri dell’esercito rivale.

Un altro aneddoto interessante risale alle battute finali della conquista della scarpata di Maeda. L’avanzata statunitense proseguiva e il 19 maggio era in programma un nuovo attacco, ma si trattava di un sabato, ovvero il giorno in cui la dottrina avventista imponeva il riposo. Pur di aiutare i suoi compagni, Desmond si affidò a una lunga preghiera e i membri del reggimento ritardarono l’inizio delle ostilità per dargli modo di finire. Ormai tutti avevano bisogno di lui, di quel giovane magrolino che, con totale abnegazione del pericolo, si aggirava fra le trincee in cerca di anime da salvare.

Le sue gesta si conclusero il 21 maggio. I giapponesi buttarono una granata e Desmond cercò di calciarla via, ma non fece in tempo e si ritrovò con diciassette schegge nella gamba e nell’anca. A quel punto si auto-medicò e attese i soccorsi, che arrivarono cinque ore dopo. Ancora una volta mise la vita degli altri davanti alla sua: si rifiutò di salire sulla lettiga e lasciò il posto a un soldato in condizioni più gravi. Nel frattempo si mise al riparo, ma lo raggiunse un colpo di cecchino che gli fratturò il braccio. Desmond, allora, si legò il calcio di un fucile a mo’ di stecca e si trascinò per quasi trecento metri fino a una stazione di soccorso.

Come noto alla fine della guerra l’esercito nipponico capitolò e le voci sul suo eroismo giunsero fino alla Casa Bianca. Il 12 ottobre del 1945, il governo statunitense lo insignì della Medal of Honor, la più alta e prestigiosa decorazione militare statunitense.

Nel resoconto dettagliato che accompagnò la premiazione, le ultime righe recitavano: “Grazie al suo eccezionale coraggio e alla sua incrollabile determinazione di fronte a condizioni disperatamente pericolose, il soldato di prima classe Doss ha salvato la vita di molti soldati. Il suo nome divenne un simbolo in tutta la 77ª divisione di fanteria per l’eccezionale galanteria ben al di sopra e al di là del proprio dovere”.

Desmond fu il primo obiettore di coscienza a ricevere la Medal of Honor e, quando gliela cinse al collo, il presidente Harry Truman disse:

Considero questo un onore più grande di quello di essere presidente

Dopo il congedo cercò di tornare alla vita di sempre e di costruire una famiglia insieme a sua moglie Dorothy, che nel 1946 partorì suo figlio Desmond Jr. Ma in quel periodo il suo corpo gli presentò il conto delle avventure al fronte. Tutte quelle notti passate al freddo o nel fango, sotto il cielo di Okinawa, si sommarono alle conseguenze delle varie ferite riportate e alla tubercolosi.

Per cinque anni e mezzo entrò e uscì dagli ospedali per sottoporsi alle cure. Le sue condizioni erano gravi e i medici gli dovettero asportare un polmone e cinque costole. Dopo gli interventi ebbe notevoli difficoltà motorie e non poté più svolgere alcun lavoro manuale. Nonostante questo la sua vita fu molto lunga, morì a Piedmont, in Alabama, il 23 marzo del 2006, all’età di 87 anni.

Dopo aver visto la sua incredibile avventura, torniamo un attimo a quella mattina del 5 maggio del 1945. Quando arrivò l’ordine dei suoi superiori, Desmond obbedì e scalò l’Hacksaw Ridge. In cima lo attendeva un teatro di orrori, ma non gli importava. Non tutti gli eroi indossano una maschera. Lui, però, era un eroe molto diverso, perché stava combattendo una guerra senza sparare un colpo. La violenza lo disgustava; eppure, era lì, accanto ai suoi compagni. Non si tirava indietro, non aveva paura. Desmond avanzava e aiutava come poteva. Non indossava una maschera, ma era comunque un eroe… Un eroe senza fucile.

Sono uno scrittore e un grande appassionato di letteratura, cinema e storia. Ho pubblicato un romanzo di narrativa, “Lo scrittore solitario”, e un saggio, “Woody Allen: un sadico commediografo”, entrambi acquistabili su Amazon. Gestisco la pagina Instagram @lo_scrittore_solitario_ dove pubblico post, curiosità su film e libri e ogni giorno carico un quiz sulla letteratura.

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