Detersione delle lesioni croniche in home care

2022-04-21 08:14:26 By : Ms. Yanqin Zeng

Pubblicato il 14.03.22 di Rosa Colella Aggiornato il 21.03.22

Per detersione, nell’ambito del Wound Care, si intende comunemente l’azione del lavare e del pulire la superficie della ferita/ulcera e la cute perilesionale. L’azione del lavaggio di una lesione cutanea prevede la rimozione di ciò che potrebbe ostacolare e/o ritardare la guarigione, ovvero: detriti tessutali, germi di superficie, eventuali residui di medicazioni e altri materiali superficiali poco aderenti, ma visibili macroscopicamente. Questa pratica deve essere eseguita in modo accurato e se necessario utilizzando abbondante soluzione, per favorire la pulizia e diluizione (Wound Care Pills, AISLec, 2021).

Le ferite croniche possono presentare caratteristiche di infiammazione, producendo notevoli quantità di essudato che contribuiscono al carico necrotico. Studi sul fluido prodotto dalla ferita cronica (essudato), hanno evidenziato che la composizione è molto diversa da quella dell’essudato della ferita acuta ed ha un effetto dannoso sulla guarigione.

Infatti, è stato riscontrato che la ferita cronica contiene alti livelli di enzimi come proteasi, metalloproteinasi della matrice (MMP), la serina proteasi (elastasi), che scompongono o danneggiano le proteine della matrice extracellulare (ECM) e i fattori di crescita, proteine fondamentali per la guarigione, condizioni che inibiscono la proliferazione di cheratinociti, fibroblasti e cellule endoteliali, che sono le principali cellule del derma. Tra i fattori esogeni che possono bloccare la proliferazione devono essere considerati la formazione del biofilm e le complicanze infettive.

Tutte le lesioni cutanee sono potenzialmente contaminate con microorganismi opportunisti o residenti sui tessuti e, in condizioni di immunodepressione dell’ospite, possono condizionare i tempi di guarigione, in relazione alla loro carica. Il biofilm è una comunità di microrganismi adesi l’un l’altro, sulla superficie dell’ulcera, inglobati in una matrice di polimeri e zuccheri (EPS). Studi recenti evidenziano che circa l’80% delle ulcere croniche presentano biofilm, quindi una problematica molto rilevante e da non sottovalutare.

Nella formazione del biofilm si concatenano una serie di fasi: queste iniziano nel momento in cui i microrganismi producono EPS (chiamato anche slime), che inizia ad ancorarsi prima sul letto dell’ulcera (Fase1). In questa fase una corretta detersione della lesione riesce a diluire i batteri e ad eliminarli.

Con l’aumentare della produzione avviene che lo slime, prodotto da vari batteri, collabisce e forma una vera e propria barriera o “muro”, che aderisce al letto della lesione (Fase 2). Questa fase è identificata come irreversibile e solo con il debridement chirurgico o meccanico, unitamente ai prodotti appropriati, quali detergenti commerciali e/o antisettici, è possibile raggiungere la disgregazione del biofilm. La fase successiva è caratterizzata dalla maturazione del biofilm (Fase 3).

Fig.1 Ciclo di formazione del biofilm. Fonte: Clinical Guide Skin &Wound care, Hess C, 2008

La corretta detersione, dunque, oltre a rimuovere detriti cellulari, è molto importante per prevenire la maturazione di biofilm (non permettendo allo slime di legarsi) e modulare tutte quelle situazioni legate ad un’alterazione della fisiologica guarigione a livello locale, come eccesso di metalloproteasi ed eccesso di essudato. Tale pratica tende a garantire il microambiente umido ideale per favorire le condizioni migliori per la proliferazione.

Fino agli anni ’60 vi era la convinzione, diffusa ancora oggi, che un’ulcera tende a guarire in un ambiente secco. Gli obiettivi della gestione delle ferite consistevano solo nel coprire e nascondere, utilizzando garze e medicazioni a piatto. Questi materiali sono prodotti passivi, la cui azione non riesce a favorire il processo di guarigione, nessuna attenzione viene rivolta né alle risposte funzionali né al microambiente richiesto nei diversi tipi di ferite.

Gli studi sulla riparazione tessutale sono continuati negli anni e si è evidenziato come la pulizia del letto della lesione rivesta un ruolo fondamentale nella rimozione di tutti gli ostacoli locali alla guarigione. La detersione indica pertanto il primo step di pulizia della lesione e ripristino del microambiente umido ideale, fondamentale per proseguire poi con una corretta medicazione.

La detersione rappresenta quindi una parte integrante della gestione delle ferite acute e croniche. La corretta detersione produce un primo debridement meccanico (per gli esperti promuove un vero e proprio debridement di mantenimento), cioè la pulizia continua dell’ulcera, al fine di gestire l’infiammazione, dall’essudato, diluisce i microrganismi che possono aggregarsi e formare il biofilm, cioè favorisce il processo di granulazione.

Nell’ambito delle cure domiciliari, anche grazie alle nuove disposizioni nazionali (DL n. 34/2020, art. 1 c. 5, convertito in L. 17 luglio 2020, n. 77, e le "Linee di Indirizzo Infermiere di Famiglia/Comunità" della Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome), c’è l’intento di potenziare le cure territoriali attraverso l’inserimento della figura dell’infermiere di famiglia e di comunità, ma anche dell’infermiere case manager. Tutto ciò con l’ottica di favorire la distribuzione delle cure sul territorio, coinvolgendo ambulatori dedicati, medici di famiglia, familiari e caregiver.

Nella cura delle ulcere cutanee, oltre a non garantire un ambiente di trattamento pulito e preparato, specie se il paziente non è autosufficiente, anche la medicazione non appropriata può favorire la proliferazione batterica e quindi portare all’insorgenza di complicanze di difficile risoluzione. Molte sono le criticità che a domicilio devono essere affrontate in confronto ad un setting ospedaliero: solitamente a domicilio l’infermiere agisce da solo, quindi viene richiesta sempre una conoscenza aggiornata, capacità di agire, esperienza maturata e professionalità, in modo da dimostrare competenza e responsabilità nelle proprie azioni. Dunque, formare adeguatamente il personale e istruire il paziente e i famigliari, risulta la prima adeguata strategia per la buona pratica clinica, oltre a fornire preventivamente un appropriato percorso clinico-assistenziale.

Fig. 2 (Fonte: Wound care Pills AISLeC,  2021)

L’irrigazione è la tecnica di detersione più comunemente utilizzata e consiste nell’irrigare l’ulcera con soluzione. Si tratta di una procedura durante la quale devono essere tenuti degli accorgimenti, in quanto un’irrigazione con alta pressione e/o una temperatura troppo bassa o alta del detergente possono danneggiare il tessuto del letto della lesione.

Per eseguire una tecnica corretta di irrigazione si consiglia di utilizzare una siringa da 30 ml e un ago 18-20 Gauge in modo da fornire una pressione di 13 PSI, quindi non aggressiva sulla ferita. Consigliata temperatura tiepida del detergente, circa 28-30 °C.

Fig. 3 (Fonte: Wound care Pills AISLeC, 202)

Il tamponamento di una lesione consiste nell’impiego di garze o tamponi di cotone imbevuti di soluzione per effettuare una pulizia meccanica (tamponamento o strofinamento) dell’ulcera (Monti, 2000; Carr, 2006).

Le Linee Guida raccomandano che la detersione per mezzo di garze deve produrre un minimo di forza meccanica tale da favorire la rimozione e quindi debridement meccanico.

Fig. 4 (Fonte: Wound care Pills AISLeC, 2021)

Prevede l’utilizzo di garze o microfibra imbibite di soluzioni per il lavaggio scelte in funzione della disponibilità e dell’obiettivo clinico. In questo caso le garze sono lasciate sulla ferita per un tempo determinato, che permette ai detriti cellulari di attaccarsi alla garza e poi procedere all’asportazione degli stessi.

Il vantaggio di questa tecnica è quello di facilitare la rimozione dei detriti e il trattenimento sulla garza o microfibra utilizzata, attuando una forma di debridement.

Oltre a soluzioni sterili come soluzione fisiologica 0,9%, la letteratura supporta l’utilizzo di acqua, acqua bollita raffreddata o di bottiglia. Una revisione Cochrane del 2012 ha evidenziato una differenza non significativamente statistica tra l’utilizzo di acqua di rubinetto o soluzione fisiologica sterile nell’incidenza delle infezioni.

Nella pratica clinica si è notato che l’utilizzo di acqua potabile e Ringer Acetato provochi meno dolore nella gestione delle ulcere neoplastiche, in quanto l’assenza o minore quantità di cloruro di sodio, può ridurre la percezione del dolore sui tessuti.

Altre soluzioni commerciali possono contenere tensioattivi/antisettici, che in alcuni casi svolgono un’azione diretta nella disgregazione del biofilm. Le recenti evidenze suggeriscono che, oltre ai detergenti semplici (acqua e soluzioni isotoniche) sopra citati, siano disponibili soluzioni detergenti con surfactanti ad azione tensioattiva e soluzioni a base di acido ipocloroso a bassa concentrazione.

I tensioattivi o surfactanti sono elementi in grado di ridurre la tensione superficiale del fluido in cui vengono dissolti; in questo modo è facilitato il distacco dello sporco e dei detriti, che rimangono sospesi in soluzione in modo che non possano nuovamente contaminare la ferita.

Fig. 5. Meccanismo d’azione dei detergenti tensioattivi. (Da diapositiva Corso AISLeC, “Prevenzione LDP”, Brescia, 04/11/2021)

Ancora oggi esistono diverse realtà territoriali dove l’assistenza sanitaria domiciliare presenta criticità organizzative rilevanti ed importanti carenze di personale specialistico che possa garantire qualità ed efficacia nei percorsi di trattamento. La rete sanitaria territoriale presenta lacune relativamente ai ruoli, ai tempi e ad un’assistenza mirata alle esigenze dei pazienti.

Come indicato nella Riforma dell’Assistenza Territoriale prodotta da Agenas nel 2021: La casa come primo luogo di cura viene individuata all’interno della programmazione sanitaria nazionale quale setting privilegiato dell’assistenza territoriale, viene evidenziato il ruolo della casa dove si vive come struttura nella quale attivarsi per creare un ambiente di cura ideale e coinvolgere tutte le figure che possono garantire una migliore qualità di vita.

In considerazione di ciò è fondamentale la presa in carico del paziente da effettuare con il supporto di strumenti che permettano una valutazione multidimensionale per poter individuare il livello di intensità e complessità assistenziale, considerando anche tutte le risorse, umane e materiali, presenti.

Un aspetto fondamentale nella gestione domiciliare è considerare lo stato di autosufficienza psico-fisica dei pazienti assistiti e la loro situazione economica. È importante considerare come caregiver o familiari siano disposti a collaborare al piano terapeutico, quindi la loro compliance. L’infermiere è sicuramente il professionista che può potenziare il rapporto tra medico di famiglia e persona assistita in modo da poter attivare tutte le risorse e i percorsi utili a garantire la migliore qualità di vita.

Per la pianificazione di percorsi più personalizzati è necessario il coinvolgimento di un team multidisciplinare in cui la figura di un infermiere specialista in Wound Care resta fondamentale sia per la prevenzione che per il trattamento di danni cutanei. Un’appropriata educazione sanitaria e addestramento al personale socio-sanitario, al caregiver e al paziente, risultano importanti per gestire le problematiche cutanee a domicilio.

L’infermiere specialista in Wound Care, in considerazione della formazione e delle conoscenze relative allo stato di fragilità cutanea e fattori correlati, potrebbe ricoprire il ruolo di leader clinico o coach pianificando i percorsi diagnostico-terapeutici personalizzati, offrendo supporto clinico-assistenziale ai familiari e alle figure coinvolte a domicilio. Quindi, coinvolgere l’infermiere specializzato nel team, garantire una pianificazione assistenziale uniforme a tutto il personale e contribuire alla diffusione di procedure corrette tramite brochure, articoli informativi, dovrebbe essere alla base della buona pratica clinica e potrebbe essere un reale supporto all’assistenza in home care.

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