Gaetano: "Mi sono tagliato per non sentire altro dolore, così sono guarito" - CorrieredelMezzogiorno.it

2021-11-29 10:46:48 By : Ms. Lisa Chou

Gaetano Ippolito mostra i segni sulle braccia. Ferite che hanno lasciato profonde cicatrici sul corpo e sull'anima. È un ragazzo dallo sguardo dolce e intenso, con un passato autodistruttivo. Adesso ha 24 anni. Il suo calvario è iniziato 5 anni fa. Prova a dirti, parla in perfetto italiano. "Cinque anni fa ero ancora al liceo linguistico, avevo una relazione con una ragazza che però mi ha sconvolto, mi ha portato ad una chiusura estrema, mi sono sentito manipolato da lei perché il rapporto a volte era ricambiato, altre volte no, lei mi ha mentito, mi stava ingannando. A causa di questa delusione ho cominciato a farmi male, avevo una passione per le armi da fianco. A casa ho trovato il coltellino di mio padre e con la scusa di testare il filo del coltello ho cominciato a graffiare il mio dita, ho scoperto che mi davano una sensazione simile a una scarica elettrica e poi ho iniziato a farlo anche per riprovare quella sensazione, più che un piacere, una scarica di adrenalina». formare una sorta di disegno. "Sì, ho dato anche delle forme per sfuggire a una concezione esclusiva dell'autolesionismo, in parte per combatterla e in parte per dare un senso a questa pratica, avevo sviluppato una sorta di filosofia che mi permetteva di vederlo come studio del dolore, il mio tentativo era di sentire il dolore il più possibile possibile affrontarlo, solo che in quel periodo arrivai ad avere una tolleranza molto alta e questo mi portò a scavare nelle stesse ferite, ogni volta dovevo andare un po' più in profondità”.

Un rito, dunque, che "aiutava" a non sentire il peso delle sofferenze, delle delusioni della vita: più forte era il dolore fisico, meglio si sopportava quello interiore. O almeno così pensava Gaetano, in realtà poi col tempo si è reso conto che non era così. E poi c'era il rischio che le ferite si infettassero perché faceva tutto da solo, nessuno lo sapeva. "Mi sono curato da solo, soffro di disturbo ossessivo compulsivo e questo mi ha portato a mettere in atto una sorta di rituale, che comprendeva la preparazione degli strumenti per tagliarmi, la medicazione, il bagno che facevo dopo essere stato tagliato, quando ero sanguinava ancora, anche un po' per fermare l'emorragia.All'inizio ho usato del cotone idrofilo poi ho scoperto che mi dava l'infezione e poi sono passato alla carta igienica, l'ho arrotolata fino a formare una bacchetta rigida, l'ho premuta sulla ferita e poi attaccata con del nastro adesivo, dopo un paio di giorni ho potuto toglierlo ed è iniziata la fase di guarigione, a cui tenevo ancora più di quella della ferita perché per me era una sorta di stimolazione: provocava prurito, bruciore ed era un dolore che usavo come jolly quando ero triste, per esempio, mi sono soffermato su quel dolore, invece del pensiero triste. Ed era come nei tagli, dominavo la mia sofferenza interiore».

Gaetano si racconta con grande sincerità ma anche consapevolezza, è obiettivo con se stesso, non cerca scuse o alibi. L'autolesionismo derivava da questa grande delusione d'amore, ovviamente combinata con un disordine di fondo. Per molto tempo a casa nessuno si è accorto di nulla, né i suoi genitori, né il fratello minore. “L'hanno notato dopo circa un anno, quando ho iniziato a fare ferite più profonde, un giorno in cui mia madre ha visto una macchia e dalla mia reazione ha capito che c'era qualcosa dietro. Ma ho continuato a farlo lo stesso cercando di nascondermi meglio, fino a quando mio padre ha trovato le mie lamette e mi ha fatto un lungo discorso legato al suo passato fatto anche di droga, è una persona che stimo molto e questo è sempre stato un punto fermo riferimento per me”. Poi è successo qualcosa che ha cambiato completamente la sua vita e l'ha fatto smettere. “Avevo iniziato un corso di psicoterapia diretto dai miei genitori, ho notato che ottenere questi tagli non mi dava più quel brivido, era il 10 gennaio 2017 quando ho deciso di avere l'ultimo e chiudere, da allora non mi sono mai fatto male".

Una mostra fotografica degli scatti di Gaetano Ippolito

Ed è stata questa la vera svolta, il vero cambiamento, che però, in realtà, è dovuto a un piccolo delitto commesso. "Avevo rubato dei libri in libreria, erano testi di poesia a cui sono particolarmente legato, tre di Edoardo Pessoa, uno di Montale, uno di Penna e uno di Sanguineti, non avevo soldi e comunque cercavo quello brivido che non provavo più con i tagli, ma il titolare mi ha denunciato.La mia terapista mi ha messo in contatto con un assistente sociale per trovare un posto dove fare il test, così sono arrivato alla cooperativa Dedalus dove ho conosciuto Piero». incontro decisivo. Alla cooperativa Dedalus, che da quarant'anni lavora per i più deboli, è stato accolto e soprattutto dalle persone giuste. I suoi genitori erano molto preoccupati per questa prova - spiega Sorvillo - quindi hanno voluto avere il mio consenso per prendere in carico, Gaetano ha iniziato il giorno dopo, mi bastava guardarlo per capire tante cose di lui. I suoi disturbi erano principalmente legati all'ansia e alla noia, in tandem con il terapista che lo seguiva abbiamo cercato di costruire una figura professionale di abilità, attitudini, attività e d caratteristiche personali”. Percorso di psicoterapia che Gaetano non ha ancora lasciato, però da 4 volte a settimana ormai ne fa due.

"Il mondo del lavoro era molto lontano da me - aggiunge Gaetano - Ho fatto l'esperienza nel bar di mio zio, all'epoca lasciavo la scuola, andavo da lui e poi avevo paura di tornare a casa, a Miano, e di prendere il treno per Piscinola perché mi ha riportato a esperienze negative: lì ero vittima di bullismo fisico e succedeva sempre in metropolitana, il fatto che mi avessero circondato mi traumatizzava, sono andato solo da Dante, ho aspettato le 20 di sera per farsi accompagnare da lui». Per fortuna la fotografia è arrivata, per caso… “Sì, durante un workshop, ho scoperto che la fotografia mi permetteva di esprimermi e lì mi sono rafforzata, il maestro mi ha regalato la sua macchina fotografica e ho iniziato a scattare per fare foto, soprattutto nei musei della città, per me è stata una sorta di mappatura di Napoli che non conoscevo, ho partecipato alla selezione del laboratorio di Biasucci a Villa Pignatelli, sono stata presa. Questa esperienza mi ha portato ad appassionarmi alla fotografia e ad allontanarmi da l'idea di passione separata dal lavoro.Oggi è la mia principale fonte di reddito, ho fatto anche una mostra all'Indipendent Photography Center che è tuttora in corso, fotografando scene di film pulp degli anni '70 - '80 dalla TV con l'analogico macchina fotografica, che poi ho manipolato con il digitale, l'opera si chiama “Untouch” ed è composta da 13 lastre, ora sto facendo una camera oscura a casa». Il blocco scuola resta.... «Abbiamo insistito molto su questo - puntualizza Sorvillo - Gaetano è intelligente, ha una cultura incredibile, legge, assorbe ed elabora che è la cosa più importante. Poteva fare la serata, si era anche iscritto ma poi non è andato». "La scuola mi ricorda le cose brutte - ribadisce Gaetano - ci andavo, mi piaceva stare lì ma non studiavo, non riuscivo a concentrarmi, avevo un rifiuto per chi mi diceva di fare le cose, anche se potevo a, infatti al secondo anno mi sono impegnato e sono uscito con il 9, poi ho perso tre anni e non ho fatto.Ero un po' il pagliaccio della classe, facevo ridere e provocare, mostravo le mie ferite, non mostravo che stavo male, mi sono sempre sentito non compreso in quella zona e quindi la scuola non mi stimolava tanto, avevo un insegnante di italiano e una storia che credeva in me, poi si è trasferito e ho perso un altro punto di riferimento». Anni terribili, ora fortunatamente lontani. «Oggi sono un'altra persona, ho preso da poco una stanza, ho vissuto da sola per sei mesi a Montesanto. Ora sono tornato da casa mia per motivi economici ma voglio riprovare. Devo ancora essere in grado di comunicare con mio fratello con il quale non ho un ottimo rapporto ma sono sicuro che lo farò. Amo la poesia e la sua capacità di sintetizzare emozioni senza farle placare, scrivo anche anche se non oso chiamarle poesie, le chiamo clip. E penso che in fondo rubare quei libri fosse sbagliato, ma paradossalmente mi ha aperto le porte della salvezza».

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